Luca Tedesco insegna Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. Dirige le collane "Liberismi italiani" dell’Istituto Bruno Leoni di Torino e "Ulteriori Divergenze" dell’Università degli Studi Roma Tre. È Senior Fellow dell’Istituto Bruno Leoni e membro del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma.

Ancora sulla crisi della scuola italiana e l’analisi di Galli della Loggia

Alcuni limiti del volume sono già stati segnalati nelle numerose recensioni apparse sulla carta stampata e in rete: esiguità dell’apparato bibliografico, toni che si abbandonano talvolta al dileggio non consoni a un accademico, una idiosincrasia nei confronti della pedagogia che impedirebbe all’autore di distinguere il grano dal loglio. Altri potrebbero poi essere rilevati: la liquidazione sic et simpliciter delle «cosiddette “scienze umane”» a discipline prive di «natura “scientifica”» (p. 9), senza offrire alcuna argomentazione a sostegno di tale asserzione (su simili questioni epistemologiche sono state scritte, perlomeno da Popper in poi, intere biblioteche; almeno una noterella non avrebbe guastato…), e la riduzione, questa veramente incredibile da parte di uno storico di vaglia come Galli della Loggia, della scuola delle Annales e della storiografia della longue durée a «superatissime mode culturali» (p. 157) [anche qui riteniamo che se pure ogni indirizzo di studi sia criticabile, e criticate sono state d’altronde esagerazioni e parossismi di alcuni epigoni della Nouvelle Histoire, abito scientifico avrebbe imposto solide giustificazioni a supporto di giudizi così tranchant, anche in un lavoro dalle marcate intonazioni pamphlettistiche come quello dello studioso romano].

Eppure, a nostro avviso, ai recensori del Nostro è perlopiù sfuggito il nocciolo della disamina di Galli della Loggia, vale a dire la distinzione tra educazione ed istruzione, nocciolo che questi ha investigato con acume e sottigliezza. L’anima nera del discorso di Galli della Loggia è il Jean-Jacques Rousseau dell’Émile. In questo romanzo pedagogico l’educazione avrebbe infatti relegato l’istruzione «a un ruolo assolutamente secondario». poiché solo la prima sarebbe funzionale all’erezione del Novus Ordo sociale. Per educazione Galli della Loggia intende «un addestramento scolastico che si prefigge principalmente lo scopo di instillare nell’allievo comportamenti e valori congrui a un certo tipo di ordinamento politico-sociale», mentre per istruzione la trasmissione di conoscenze che lascia «in secondo piano i contenuti educativi: vuoi perché le conoscenze suddette implicano di per sé tali contenuti, vuoi perché gli individui, una volta istruiti, avranno modo di decidere essi liberamente circa ciò che vogliono essere» (p. 67).

Un atteggiamento simile ha palesato, nel suo Mai più senza maestri, Gustavo Zagrebelsky, giurista certamente non prossimo per sensibilità culturale e politica a Galli della Loggia. Se Condorcet, nelle Mémoires sur l’instruction publique del 1791, ricorda Zagrebelsky, insegnava che l’istruzione ha il compito di combattere l’ignoranza senza imporre valori e non poteva quindi che considerare i principi repubblicani e rivoluzionari come mero fatto, obbligo esteriore e non come nuovi idoli cui aderire intimamente, Talleyrand presentava l’educazione come indottrinamento, come sta a testimoniare il suo rapporto presentato l’anno prima alla Costituente, in cui si auspicava che Costituzione e Déclaration des droits costituissero «per l’avvenire un nuovo catechismo per la gioventù», da impartire fin «nelle più piccole scuole del Regno», catechismo che «imprimesse per sempre dei sentimenti nuovi, dei costumi nuovi, delle abitudini nuove».

Per Galli della Loggia l’enfatizzazione della prospettiva educativa e l’annichilimento di quella mediata, indiretta, filtrata dall’istruzione prende le mosse in Italia a partire dagli anni Settanta. Fino a quel decennio, «nel sentire comune dell’Occidente aveva dominato la convinzione che “istruirsi”, cioè acquistare la conoscenza di alcuni saperi, equivalesse di per sé a essere immessi in un processo di acculturazione/civilizzazione. Vale a dire in un processo di acquisizione di certi valori naturalmente orientati al sentimento di una comune humanitas, all’amore per la conoscenza e la libertà, all’obbedienza alle leggi, al rispetto di sé e degli altri: in una parola, all’acquisizione di certi valori di fondo propri di quella civile convivenza di cui la democrazia è una forma» (p. 146).

Rispolvero manuali del liceo per leggere in un classico come il ‘Reale-Antiseri’ che nelle «forme della vita greca che prepararono la nascita della filosofia», i concetti di armonia, proporzione, limite, misura, giustizia avrebbero ricevuto le prime formulazioni nei poemi omerici ed esiodei. Anche a questi ultimi si riferisce forse Galli della Loggia quando scrive «che la cultura alla fine significa semplicemente la possibilità per ognuno di noi di uscire dalla propria particolarità e di mettersi in relazione con il mondo passato e presente, con tutti i suoi pensieri, i suoi protagonisti e i suoi fatti, raggiungendo così una pienezza di vita altrimenti impossibile» (p. 12).

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