Emanuele Francesco De Luca si è laureato in Lettere e Beni Culturali presso l’Università della Calabria, dove sta attualmente completando il ciclo magistrale della facoltà di Archeologia.

I Tristia di Ovidio

«Senza di me, piccolo libro, – e non te ne voglio – andrai a Roma […]» (Tristezze, 1,1,1). Con questa premessa Ovidio apre quest’opera facendo immergere direttamente il lettore nell’estrema condizione di sofferenza nella quale si trovava il poeta. Tristia è una delle opere composte da Ovidio durante il suo esilio ordinato dall’imperatore Augusto. Numerosi storici a distanza di secoli, si ritrovano ancora oggi a parlare di questa relegatio senza trovarne una valida spiegazione. Il viaggio affrontato da Ovidio fu una fantasia dello stesso autore? Perché Augusto decise di mandarlo in esilio?

Come ben si può pensare si sono sviluppati diversi filoni di pensiero e ancora oggi non si è arrivati a una soluzione certa. Data la loro complessità, di questi temi potremmo qui dare solo un breve commento e offrire una sintetica analisi del contenuto di quelle che sono le idee riguardanti l’opera Le Tristezze del poeta Ovidio. Per capire determinate problematiche, bisogna prima capire quella che era la realtà romana in quel determinato momento. Roma stava cambiando: dopo numerosi anni di guerre civili il popolo romano vide finalmente arrivare la pace. Ottaviano uscì vincitore dalla battaglia di Azio, e una volta salito al potere accompagnò Roma Repubblicana verso il Principato. Attraverso l’attuazione di diverse politiche rinnovò diversi strati della società romana. Il Principe sembrò non disdegnare neanche le attività letterarie, ma anzi se ne servì come utile strumento di propaganda circondandosi di intellettuali alla sua corte. Nacquero infatti circoli importanti come quelli di Mecenate e Corvino, dove all’interno di questi circoli erano inseriti poeti di immenso valore. Parliamo di Virgilio, Orazio, Properzio, Tibullo, e anche un giovane Ovidio.  Dunque, è mai possibile che un principe tanto favorevole alle attività letterarie fosse così spregiudicato nei confronti di un poeta?

Numerosi storici antichi e moderni dedussero, partendo da una frase che egli riporta in modo generico nei Tristia, la motivazione dell’esilio forzato voluto dal principe: «Sebbene due siano la causa della mia rovina, un’opera poetica e un errore, non posso parlare della colpa connessa al secondo fatto» (Tristezze, 2, 207). Esilio che brucò a lungo nella sua anima, riaffiorando costantemente: «Quando mi si presenta la visione tristissima di quella notte in cui vissi le ultime mie ore in Roma, quando ripenso alla notte in cui lasciai tante cose a me care tuttora dai miei occhi scendono le lacrime. […] Non ebbi tempo né volontà di preparare le cose più utili: a lungo l’animo aveva languito immerso nel torpore; non mi curai di servi, né di scegliere compagni, né delle vesti adatte o delle cose che giovano a un profugo» (Tristezze, 1,3,1-7).

Ovidio dunque aveva commesso un errore e fu giudicato a causa di una sua colpa, ma quale? Pare che anch’egli fosse vittima del fascino della nipote del principe Giulia: «[…] non sono stato il solo a comporre dolce poesia d’amore: ma per aver composto poesia d’amore sono stato il solo a ricevere un castigo» (op. cit., 2, 360-363).

Pertanto l’opera può sicuramente essere giudicata in ambito letterario, ma anche da un punto di vista storico. Se andiamo ad indagare su questo presunto flirt tra Ovidio e Giulia l’unica certezza che noi possediamo è la profonda delusione e l’altrettanto profondo odio che il principe nutriva sia verso la figlia sia verso la nipote. Le fonti antiche ci narrano alcuni particolari sulla figlia del principe madre di Giulia. Velleio Patercolo nella sua opera “Storia Romana” ci dice: «[…] tornò a Roma e sposò Giulia, figlia di Cesare, già moglie di Marcello, donna i cui numerosi parti non furono motivo di letizia né per lei né per lo stato». Svetonio, dal canto suo, nella “Vita dei Cesari” si riferisce quanto segue: «Alla figlia esiliata proibì l’uso del vino ed ogni forma di lusso e non permise a nessun uomo, libero o schiavo che fosse, di avvicinarla se non con la sua autorizzazione, in modo da poter conoscere l’età del visitatore, la taglia, il colore e perfino i segni particolare e le cicatrici». E prosegue: «[…] fossi rimasto celibe e morto senza prole». Questo ci fa capire che Giulia era una grossa fonte di problemi per il padre a causa della sua condotta immorale e dei numerosi amanti, arrivando al punto di condannarla all’esilio. È possibile che anche Ovidio potesse rientrare nel progetto di Augusto di allontanare da Roma tutti coloro che risultavano personaggi scomodi anche, e forse non solo, perché legati alla figlia Giulia e forse anche alla nipote Giulia minore?

Ovidio in seguito, venuto a conoscenza della morte del Princeps, attraverso i Tristia tenterà più volte di rientrare a Roma, sperando anche nell’intercessione del successore Tiberio, ma fu tutto inutile. Affascinante è constatare oggi la facilità con cui la condizione sociale di un individuo potesse mutare nell’antica Roma. Dalla mattina alla sera Ovidio si vide d’un colpo trasformata l’esistenza: su un ordine del Principe i legionari gli andarono a dichiarare quanto fosse stato deciso per lui. Il silenzio assordante da parte delle fonti ci porta a dedurre che la verità su quanto accaduto probabilmente non si saprà mai. Il che rende quest’opera la fonte principale per cominciare a cercare di risolvere uno dei casi più misteriosi avvenuti sotto il principato augusteo.

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