Giuseppe Parlato è professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT). Si è occupato di storia del Risorgimento italiano, del fascismo e della destra italiana. È presidente della «Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice».
Tra le sue pubblicazioni: Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia (1943-1948) (il Mulino, Bologna 2006); Mezzo secolo di Fiume. Economia e società a Fiume nella prima metà del Novecento (Cantagalli, Siena 2009), Gli Italiani che hanno fatto l’Italia. 151 personaggi per la storia dell’Italia unita (Eri Rai, Roma 2011), La Fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale (Luni, Milano 2017).

Nel 1944, con l’arrivo degli Alleati a Roma, mons. Montini, il futuro Paolo VI, allora sostituto alla Segreteria di Stato vaticana, decise la fondazione di un foglio quotidiano dell’Azione cattolica. Fu incaricato della preparazione del giornale Igino Giordani, scrittore e politico cattolico, il quale scelse anche la testata del nuovo giornale, che uscì nelle edicole l’11 giugno 1944.

Giordani, primo direttore de «Il Quotidiano», lo caratterizzò attraverso il recupero delle posizioni sturziane, sia in merito alle problematiche sociali, sia sulle tematiche dei rapporti tra Stato e religione. Nettamente favorevole al mantenimento del Concordato, polemizzò, tra la fine del ’45 e il giugno 1946, con il Partito comunista e, in particolare con l’on. Platone, che gli contestò un articolo dal titolo Neofascismo (6 febbraio 1946), nel quale Giordani scriveva: «Fin dai primi giorni di sua vita questo giornale ha sostenuto la tesi che non ci dovessimo fissare come ossessi sul fenomeno del fascismo o, che fa lo stesso, sul fenomeno dell’antifascismo. Noi vogliamo essere italiani, democratici, cristiani e perciò automaticamente antifascisti; ma non possiamo esaurire la nostra funzione di lavoratori, di cittadini e di credenti nell’antifascismo, cioè in una negazione. Uno non può essere nella sua vita semplicemente antirabbico. Se è persona normale sarà anche antirabbico; ma non ne farà una professione esclusiva di vita».

Giordani lasciò la direzione del «Quotidiano» nel giugno del 1946, ma continuò a collaborare, difendendo, come Sturzo, gli interessi italiani in occasione del Trattato di pace del 1947, contestando il fatto che non fosse sorto da una trattativa ma da una decisione unilaterale dei vincitori. Allo stesso modo, manifestò le prime attenzioni ai profughi giuliani, fiumani (di Fiume ribadì la storica origine culturale italiana), istriani e dalmati. Eletto alla Costituente, fu sostituito da Federico Alessandrini, poi direttore dell’«Osservatore romano», che resse la direzione del foglio dell’Azione cattolica fino al 1950. Mantenne la linea precedente su molti aspetti: costante era la disponibilità a trattare della frontiera orientale, della tragedia dell’esodo e delle foibe, della sistematica violenza antireligiosa del maresciallo Tito. Ugualmente molto forte era la polemica contro il laicismo, soprattutto sulla questione del Concordato, alla Costituente, ma anche dopo nelle polemiche sulla scuola e sul ruolo della religione, non confinabile a mera questione privata: in un articolo del 24 aprile 1949 proprio Giordani ribadiva la lotta contro ogni totalitarismo, a cominciare da quello laicista (Laicismo e dittatura).

 Con Alessandrini, e con l’arrivo di Vittorino Veronese alla presidenza dell’Azione cattolica (ottobre 1946), si accentuò la lettura sociale del cattolicesimo, furono poste in maggiore evidenza le tesi di Maritain, fu ampliato l’interesse verso la questione sindacale. La guerra fredda stava facendo il suo corso e anche nel mondo cattolico le contrapposizioni sembravano più nette di prima: le elezioni del 1948 segnarono un punto di lotta particolarmente forte ma il foglio dell’Azione cattolica si distinse per moderazione ed equilibrio. Certamente impegnato nella battaglia contro il comunismo ma senza i toni forti di padre Lombardi o di Luigi Gedda. A proposito del quale occorre rilevare che dal febbraio 1948, quando furono costituiti i Comitati civici da Gedda, fino al fatidico 18 aprile, la nuova organizzazione non fu praticamente mai citata sul giornale, salvo per un comunicato pubblicato il 14 aprile, quattro giorni prima del voto. In effetti, Alessandrini riteneva i Comitati civici uno strumento di formazione, non di attività politica. Dopo le elezioni la situazione cambiò, contemporaneamente all’ascesa di Gedda ai vertici dell’Azione cattolica: vicepresidente nel settembre 1949, presidente tre anni dopo.

Nel 1950 Gedda, che aveva responsabilità organizzative in seno all’Azione cattolica, propose la nomina di un vicedirettore al «Quotidiano»: Alessandrini non gradì la proposta, temendo di vedere ridotta la propria autonomia e lasciò la direzione che fu assunta da Nino Badano, raffinato intellettuale cattolico, che già conosceva Gedda nell’associazionismo cattolico degli anni Trenta e al quale il medico piemontese aveva affidato la direzione de «Il Vittorioso», con ottimi successi editoriali.

Il taglio del giornale mutò immediatamente. Si mostrarono subito le linee di azione di Gedda: la polemica contro un laicismo che, approfittando dell’alleanza di governo, si stava insinuando nelle istituzioni e che si traduceva nelle proposte di abolizione del Concordato e di riduzione degli spazi alla scuola cattolica; una polemica contro il cattolicesimo progressista, maritainiano; e ovviamente la prosecuzione della campagna contro i comunisti nella doppia veste di nemici della libertà e del cristianesimo. Ma oltre a queste polemiche ben presto, dal 1951, il foglio dell’Azione cattolica iniziò a proporre riflessioni “scomode” sulla partitocrazia e sul “dogmatismo” dei partiti, che avrebbero trasformato la democrazia in qualcosa di incomprensibile e di slegato dalla opinione pubblica; sulla necessità che i cattolici intervenissero con decisione quando fossero stati lesi i diritti della religione; sulla indispensabilità dei Comitati civici per spronare la Dc a essere coerente con gli impegni presi con l’elettorato; sulle ambiguità del ruolo dell’antifascismo come momento unitario della politica italiana; sui costanti richiami alla dottrina sociale della Chiesa.

Una posizione, quella del «Quotidiano», che trovò concordi, con sensibilità e approcci differenti, Augusto Del Noce e Gianni Baget Bozzo, che si avvicinarono a Gedda fra il 1958 e il 1960 nell’idea di costituire una barriera al comunismo e al laicismo. Come Giovanni Tassani ha molto bene dimostrato in diversi suoi saggi, le due figure principali di questa stagione culturale prima che politica furono proprio Del Noce e Baget Bozzo. Il primo si mosse nell’ambito di un recupero del degasperismo e dei governi centristi; il secondo volle tentare un progetto spirituale e politico attraverso «L’Ordine civile» e «Lo Stato», le due riviste da egli stesso dirette fra il 1959 e il 1961.

La direzione di Badano durò fino al 1964, quando «Il Quotidiano» finì assorbito dall’«Avvenire» durante il pontificato di Paolo VI. Ma la situazione, politica e sociale, nel frattempo era mutata rapidamente. Con la scomparsa di Pio XII e l’avvento al soglio di Pietro di Giovanni XXIII cambiava radicalmente il rapporto tra politica e Santa Sede. Nel 1959 Gedda aveva lasciato la presidenza dell’Azione cattolica; i socialisti, verso i quali il Sant’Uffizio aveva posto barriere quasi invalicabili alla collaborazione con i cattolici, diventavano utili per una strategia di isolamento del Partito comunista; i cattolici progressisti riscoprivano l’antifascismo, dando del regime di Mussolini una lettura ormai gobettiana, come dimostrarono i 61 professori cattolici che contestarono Tambroni e la sua apertura a destra. I Comitati civici, infine, furono progressivamente liquidati da quella stessa Dc che ne aveva per anni beneficiato.

 

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