Redattore

Niccolò Mochi–Poltri (1991): è impegnato da molti anni in attività di promozione culturale con le associazioni “Sur Les Murs” e Fondo Marco Mungai, delle quali è membro. Laureato in Scienze storiche, studioso appassionato di Filosofia, concentra i suoi interessi di ricerca sull’analisi della cultura politica dell’età moderna e contemporanea. Ha pubblicato Società. Divenire storico e conservazione (introduzione di F. Cardini, Roma–Cesena 2018).

Recensione a
C. Ruini e G. Quagliariello, Un’altra libertà. Contro i profeti del paradiso in terra
Rubbettino, Soveria Manelli 2020, pp. 136, €15,00.

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Non sta scritto da nessuna parte che un dialogo tra due o più persone debba concludersi nel senso di una conciliazione tra le varie posizioni. Ma questo dialogo, intitolato Un’altra libertà. Contro i profeti del paradiso in terra (Rubbettino, Soveria Mannelli 2020), è di quelli in cui non solo le varie posizioni alla fine si conciliano, ma soprattutto si rilanciano, si sostengono e giustificano reciprocamente. I dialoganti sono un eminente esponente della Chiesa cattolica, il cardinale Camillo Ruini, ed un accademico e politico di spicco di area liberale, il prof. Gaetano Quagliariello.

Dal suo titolo ci si aspetterebbe che il tema principale del loro dialogo fosse la libertà. Ma  si tratta di un equivoco sintattico: il vero tema principale, infatti, è l’«altra». «Altra» rispetto a quale? Un suggerimento ci viene dalla citazione posta in esergo, tratta dal Saggio di fisiologia sociale di Gustave Thibon: «Volendo mettere la libertà dove non è, la si distrugge dove Dio l’ha messa. L’uomo che non accetta di essere relativamente libero sarà assolutamente schiavo».

In questo dialogo a due voci, la terza di Thibon è un po’ come quella del docente della Scolastica che tira le fila della discussione tra alunni, proponendo la sua sintesi. E allora si capisce che per i dialoganti la libertà rispetto alla quale è da cercarne un’«altra» ha alcune caratteristiche: 1) questa libertà è ontologicamente nulla, cioè non è libertà, perché la vera libertà non può stare dove «non è», ergo: si tratta di qualcosa che prende il nome di «libertà», ma non è vera libertà; 2) considerare questa pseudo-libertà come vera libertà è possibile solo fraintendendo o omettendo ogni criterio che distingua il vero dal falso, in questo caso il criterio per eccellenza, Dio; 3) questa pseudo-libertà che si spaccia per vera libertà, asseconda l’equivoco gonfiandosi, espandendosi – cioè non-relativizzandosi più al criterio che stabilisce la vera libertà, col quale d’altronde non è mai stata in rapporto. Pretendendosi assoluta, occulta la vera libertà. E così si finirà con l’avere un’enorme pseudo-libertà che però con la libertà vera e propria non c’entra nulla.

In questo senso si capisce che per i dialoganti l’«altra» libertà non è banalmente un’opzione, una sorta di pietanza da ordinare à la carte, secondo l’appetito del momento – bensì è qualcosa di radicalmente alternativo alla pseudo-libertà quanto può esserlo un autentico da un falso. Insomma: la vera libertà è un’altra cosa. Cercare di comprendere e di semantizzare quest’«altra cosa» è ciò che si propongono i dialoganti attraverso la ricognizione di alcuni dei temi che stanno sulla ribalta del dibattito socio-culturale e politico contemporaneo.

C’è anzitutto il tema della vita, ossia come oggi s’intenda la vita nelle società più sviluppate, specie in rapporto ai progressi delle tecnoscienze e alle questioni dell’eugenetica e dell’aborto (cap. 2), ma anche dell’eutanasia (cap. 3). C’è il tema della famiglia, cosa essa sia e quale sia il suo ruolo nella società, a fronte della diffusione delle cosiddette “unioni civili” e alla depressione demografica, a tutto ciò che ad esse è correlato (cap. 4). C’è poi il tema, oggi perfino in Italia diventato un amarcord, dell’impegno in politica dei cattolici (cap. 5). E c’è, infine, quello che i dialoganti, ed in particolare il card. Ruini, considerano il tema fondamentale, ossia quello “antropologico”, cioè riguardo a quale sia l’identità dell’Uomo, la sua costituzione e il suo destino.

Questo tema chiude il cerchio ermeneutico intorno al concetto di «vera libertà», la quale è per entrambi i dialoganti la formula giusta per scongiurare la disgregazione delle società occidentali e della civiltà alla quale appartengono. Prendiamo in considerazione alcuni passaggi del dialogo. Ad esempio, quando il cardinale Ruini dice: «La nostra vita e la nostra stessa libertà vengono da Dio e sono intrinsecamente in rapporto con Lui, sono legate a Lui e in un ultima analisi dipendono da Lui. È infondato perciò trattarle come qualcosa di soltanto nostro, di cui non dovremmo rispondere a nessuno: dobbiamo risponderne di fronte alla realtà che noi siamo, davanti alla società a cui apparteniamo e in ultima analisi davanti a Dio nostro creatore» (p. 15).

Più avanti ancora il cardinale Ruini dice: «[…] non si può separare la nostra libertà dalla realtà del nostro essere: se va contro questa realtà, la libertà si autodistrugge» (p. 68). E il professor Quagliariello: «La democrazia ha bisogno di un fondamento di verità. Se ne fa a meno, riducendosi a mera procedura in un orizzonte che riconduce tutto alla soggettività, finisce inevitabilmente per negare se stessa. […] La democrazia, in definitiva, deve essere corroborata da un ideale di verità che si collochi in un punto del continuum che vede da un canto la sua negazione in nome di un soggettivismo relativistico, e dall’altro l’assolutizzazione delle sue declinazioni in nome di un asserito ed “illuminato” bene superiore dell’umanità, evitando però come la peste di addossarsi troppo sia all’uno sia all’altro estremo del continuum» (p. 96; corsivo nostro). Ed infine il card. Ruini: «È dunque da respingere quella concezione relativistica della libertà religiosa, e delle libertà civili e politiche in genere, che ha dominato e tuttora in buona parte domina il panorama culturale dell’epoca moderna, facendo dipendere la libertà dall’assenza di una verità conoscibile ed accertabile» (p. 107).

 Da questa selezione di passaggi si possono già intuire alcuni degli argomenti chiave adottati dai dialoganti. Ne evidenzio due. Il primo è oramai un classico di questo genere di discussioni: ossia il contrasto al relativismo. Secondo i dialoganti tale azione è da condurre anzitutto sulla base di un diritto di natura che riconosca e sancisca l’esistenza di cosiddetti “valori non-negoziabili” e fondato, in ultima istanza, sul presupposto di un criterio veritativo assoluto, Dio. Significativamente, questo presupposto viene richiamato dal dialogante laico, ossia il professor Quagliariello, che fa riferimento all’invito espresso dall’allora cardinale Joseph Ratzinger (Discorso di Subiaco”, 2005) ai non-credenti di ragionare “pascalianamente” «come se Dio esistesse» (p. 43).

Il secondo, invece, rende conto della scelta del sottotitolo del dialogo: «Contro i profeti del paradiso in terra». Ancora è il professore Quagliariello ad inquadrare bene la questione, in due passaggi interessanti: «Per il liberale la realtà, poiché deriva dall’interazione tra l’esercizio di tante libertà, è sempre imperfetta, lontana da ogni assoluto, e il futuro, dal suo canto, è e deve restare “aperto”. Per questo il liberalismo è nemico del perfettivismo e del costruttivismo» (p. 18); «Il fallimento delle ideologie novecentesche ha determinato due reazioni che sembrano spingere nella stessa direzione. Da un lato ha portato con sé la pretesa, da parte degli orfani del “grande dogma” comunista, di relativizzare ogni altra verità per approdare ad una visione nichilista. Dall’altro, allo stesso tempo, ha suscitato il bisogno di un’ideologia di sostituzione, priva di testi di riferimento e di “iconografie”, ma non per questo meno costruttivista e meno in grado di incarnare, su un diverso piano, quel desiderio insoddisfatto di perfezione e di pieno controllo del destino umano che le ideologie avevano promesso di esaudire» (p. 20).

Molto altro ancora emerge da questo dialogo. Non se ne resta sorpresi: cercare l’«altro», l’alternativa rispetto all’opinione dominante è opera faticosa, ma può portare ricche mèssi. Mèssi delle quali forse dovrebbe cibarsi una classe politica, specie di area conservatrice, che pare soffrire drammaticamente d’inedia culturale e valoriale.

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